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Immagine del redattoreOrietta Calcinoni

Parliamo di voce . 3 - La mia Voce NON esiste!


La mia Voce NON esiste

Ci hanno insegnato a scuola che il suono si trasmette con diverse velocità nei solidi, nei liquidi e nei gas.

La mia voce è fatta di aria, o meglio di un’onda sonora, che si genera quando l’aria dei miei polmoni incontra la mucosa delle corde vocali e ne viene messa in vibrazione. Ma di questo parleremo meglio un’altra volta.

Di fatto, anche una volta generata la vibrazione laringea, la mia voce NON esiste.


E’ evidente che la mia voce raggiungerà gli altri prevalentemente attraverso un gas: l’aria.

Mentre la produco, le onde sonore nel tratto vocale si trasmettono anche attraverso i miei tessuti mucosi, connettivali, muscolari, ossei del collo e della testa, ma anche del torace e della schiena, raggiungendo il mio orecchio ed in particolare la coclea più velocemente delle stesse onde che, uscite dalla mia bocca, raggiungono le mie orecchie attraverso l’aria.

La coclea è l’organo dell’orecchio che riceve i suoni e li trasmette alle aree del cervello deputate all’ascolto.


Così la voce che ritengo “mia” perché la ascolto mentre parlo, canto, rido… è il risultato della combinazione tra onde sonore trasmesse via aria, più lente, e onde sonore trasmesse via solidi, più veloci.


Ma in genere si parla per comunicare. Quando la “mia” voce esiste per gli altri? Gli altri possono ascoltare solo quella parte della mia voce trasmessa per via aerea: quindi attribuiscono a me, ascoltandola, una voce diversa da quella che io ascolto.


Possiamo averne un’idea con un semplice gioco: parlate o canticchiate o semplicemente emettete una vocale “tenuta” - protratta finché avete fiato -; mentre continuate per qualche secondo, tappate le orecchie con le mani e ascoltatevi, poi, continuando ancora a dare voce atteggiate le mani a conca e mettetele dietro le orecchie, a palmi rivolti avanti.

La “vostra” voce sarà diversa in ciascuno dei tre modi.

Il terzo modo è il più simile alla voce per come la ascoltano gli altri.


E allora??

Allora, per prima cosa, se voglio curare, educare, migliorare, lavorare con la mia voce, devo essere certa del mio udito.

Chi non sente bene si lamenta spesso di “non capire gli altri che parlano”, ma non si accorge quasi mai della perdita nel controllo della propria voce (si dice feedback verboacustico)


Conoscere la mia capacità uditiva, sviluppare l’attenzione d’ascolto, curare le malattie delle prime vie aeree che possono alterare il mio udito, prevenire traumi che possono creare danni irreparabili … è indispensabile per chi vuole lavorare con la voce, propria o altrui.


E’ più facile accorgerci di problemi di vista che di problemi di udito, anche perchè la nostra società è diventata sempre più rumorosa, tanto che in molte occasioni riduciamo automaticamente l’attenzione d’ascolto.


Ma è un rischio ancora maggiore per il Professionista, il Performer. Quante forzature si innescano per problemi di udito che insorgono in maniera spesso subdola, specie ora che le carriere artistiche sono sempre più longeve.


Un esempio da un caso reale.

Un Interprete, canto moderno, arriva per un controllo, dato che avverte forzatura ed affaticabilità nella propria voce, con una difficoltà nell’emissione “usuale” in particolare negli acuti, che sono sempre stati una caratteristica identitaria e sempre spontaneamente “facili”.


In effetti il tratto vocale mostra segni di tensione in più localizzazioni - laringe, lingua, velo - tanto che una vecchia lesione organica sulle corde vocali, ora interferisce nella vibrazione in modo significativo.

Il tour è programmato, non c’è tempo - se mai ce ne fosse stato il motivo- per un intervento chirurgico e per il relativo riposo, ma soprattutto non c’è motivo per quel grado di tensione, posto che l’Interprete svolge da decenni con successo la propria attività, i collaboratori sono quelli di sempre, il repertorio ben padroneggiato …

Assurdo proporre riposo vocale in questo caso, riposo che non è mai indicato al termine di un periodo intenso di preparazione, specie se svincolato dalla comprensione delle cause della tensione e del relativo affaticamento.


I Professionisti esperti ci danno spesso la diagnosi anche se non se ne accorgono razionalmente “cosa posso dire? Non sento la mia voce come al solito, anche se gli altri mi dicono che va tutto bene, in certi momenti la mia voce è coperta dal suono degli strumenti nell’in-ear, anche se provo a dare tutto! “


Un immediato controllo, previa otoscopia, in cabina silente, svela una “ipoacusia neurosensoriale zonale asimmetrica”.

Se pensate all’orecchio, alla coclea, come ad una tastiera di pianoforte, o meglio due, una a destra e una a sinistra, l’esame mostra che i tasti che suoneremmo con la mano destra sono “scordati”, oltretutto in modo più intenso ed esteso da una parte che dall’altra.

Se pensate alla voce come le mani che toccano la tastiera, ecco che la voce verrà percepita in maniera incompleta e soprattutto asimmetrica : questo interferisce con il controllo cerebrale delle working memories, dei protocolli operativi che si stabiliscono nell’arco di anni di studio e di esperienza, i protocolli cui il cervello riferisce e confronta il gesto vocale per adeguarlo al “voluto”. Abituato ad ascoltare due tastiere suonate contemporaneamente e simmetricamente, il cervello - che probabilmente era riuscito a compensare l’asimmetria finché lieve- non sa comportarsi con un’informazione a questo livello di asimmetria ed innesca comportamenti non ergonomici ed afinalistici, non ricevendo gli input usuali.


Con l’autorizzazione dell’Interprete, passati i risultati dell’audiometria al fonico, questi concorda con l’Artista due in-ear, settati diversamente, in maniera da adeguare l’ascolto dell’Interprete alla propria capacità uditiva, così da poter ascoltare “come al solito” la propria voce in rapporto agli strumenti.


Associata questa soluzione tecnica ad una valutazione osteopatica e relativo trattamento per bilanciare quelle tensioni improprie, il tour è partito con rispetto di tutte le serate, successo di pubblico e non ulteriore innesco di affaticamento vocale.


Se questo può sembrare un caso eccezionale, il controllo tra ascolto “semplicemente uditivo” e percezione delle dinamiche vocali altrui è un aspetto tra i più difficili per un insegnante di voce artistica, che sia recitata o cantata: il suo esempio in voce raggiungerà l’ascolto dello studente ben diverso da come l’insegnante lo ha ascoltato in sé; allo stesso modo la voce che lo studente emette non potrà mai essere quella che l’insegnante ascolterà… ma in questo paradosso, l’Insegnante attento saprà portare Achille a raggiungere la tartaruga.


E se questo è difficile in vivo, è una sfida ancora maggiore “in remoto” : parleremo di questo in un altro post .


La “mia” Voce esiste … quando viene ascoltata. Cerchiamo di essere sicuri di ascoltarla al meglio.


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